Ripensando a quanto accaduto poco prima, aveva il rammarico di non essere rientrato nella stanza del giudice e insistere per capire e per spiegare che lui non ne sapeva niente, insistere con una voce sicura che si contrapponesse a quella del suo accusatore.
Ciò che avrebbe voluto non aveva alcun senso; a fare la storia è ciò che è stato.
Il senno di poi travolge ogni individuo, ma resta una tortura interiore che non porta a nulla, tranne allo sterile e inutile tormento di chi lo porta in grembo, incapace di liberarsene, come se l’unica possibilità di salvarsi fosse svanita a causa della mancanza di prontezza.
Sembrava un incubo, Accollato cercava di scuotersi fisicamente per svegliarsi, ma già lo era; tutto inutile poiché quello che stava accadendo, accadeva davvero ed era orribilmente reale.
Quella notte nella cella il cuore volava a casa dai figli, sia per distrarsi, sia perché rappresentavano la sua unica preoccupazione.
Immaginava la fantasia, dipinta di abbracci e sorrisi che ci sarebbero stati se in quel momento si fosse trovato a casa e immaginava la realtà, fatta di tristezza, sgomento e pianti pensando che il padre si trovasse in galera.
Era tutto così buio e silenzioso, si sentiva ogni tanto qualche sirena, alcuni colpi di tosse provenienti da chissà dove, rumori di chiavi di qualche guardia che girava per i corridoi e il fruscio di una lampadina quasi fulminata che si accendeva e spegneva a intermittenza.
Volgeva lo sguardo verso il piccolo lucernario dal quale penetrava timidamente il colore del cielo limpido e riusciva a scorgere alcune stelle molto luminose.
C’era un piccolo gruppetto da tre, così vicine che l’occhio a tratti le confondeva vedendole unite.
Accollato in quelle tre stelle che sembravano tenersi per mano, vedeva sua moglie e i loro due piccoli tutti insieme e così legati.
Pensava che quei tre puntini luminosi, presi singolarmente sembravano tre granelli si sabbia che un soffio di vento avrebbe spazzato via, ma insieme diventavano inamovibili come un pianeta.